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Comunicazione digitale
Numero 1/2005

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Numero 1/2005

2. Intervista

2.1 Conoscenza e innovazione per un'Europa competitiva

Intervista a Luigi Paganetto, preside della facoltà di Economia di Tor Vergata, Roma

 

Nel 2000 il Consiglio d'Europa constata che, per produttività e tasso crescita, il Vecchio Continente è molto arretrato rispetto agli Stati Uniti e ai Paesi da un'economia più spedita e conclude che bisogna investire di più nell'economia della conoscenza e nelle nuove tecnologie per realizzare entro il 2010 quello che allora si credeva potesse diventare l'Europa: l'economia più competitiva del mondo.

Nel 2004 ci si è accorti che c'erano poche probabilità di raggiungere quell'obiettivo. Il Consiglio Europeo e la Commissione Europea stabilirono dunque che, in vista del 2005, cioè nel medio termine, fosse rivisitata la strategia di Lisbona guardando realisticamente i problemi per decidere che cosa si potesse fare per tramutare in realtà quella strategia.

Perciò fu creato un gruppo di studio di dodici persone del quale ha fatto parte Luigi Paganetto, insieme a ex politici, accademici, economisti, guidati dall'ex premier olandese Koch, dal cui lavoro è nato il cosiddetto Rapporto Koch, nel quale si fa una diagnosi dell'attuale situazione europea e si indica una serie di azioni possibili.

«Nel Rapporto - spiega Luigi Paganetto, preside della Facoltà di Economia dell'Università "Tor Vergata" di Roma - è confermato il ritardo europeo di crescita e si esaminano le numerose ragioni del divario con gli Stati Uniti e i paesi asiatici (da quelle dovute alla ritardata introduzione delle tecnologie a quelle attribuibili alla mancata o minore presenza dell'economia della conoscenza), così come un elenco di obiettivi non realizzati, a cominciare dall'introduzione di riforme strutturali nel sistema europeo che sono altrettanto importanti di quelle che riguardano le nuove tecnologie o la società della conoscenza».

 

Quale ruolo può svolgere la conoscenza nell'accelerare il processo di crescita dell'UE?

«L'idea è che l'innovazione, i nuovi prodotti sono fondamentali per vincere in competitività gli Stati Uniti e i mercati asiatici. L'Europa non può certo competere con il basso costo del lavoro e si trova in una specie di cuneo tra gli Stati Uniti (che hanno certamente un costo del lavoro simile a quello europeo, ma molta più innovazione di prodotto e di processo) e i nuovi competitori asiatici, Cina, India ed altri (che hanno un vantaggio in termini di costo del lavoro che gli europei non possono assolutamente prendere in considerazione).

«In questo schiacciamento in cui si trova, l'Europa difficilmente potrà trovare una soluzione, a meno che non punti su un maggior grado di conoscenza e di innovazione e, in un certo senso, si metta sulla stessa traiettoria degli Stati Uniti, magari con qualità diverse e in settori diversi, nei quali può eccellere.

«Ciò significa che occorre investire sul capitale umano, perché la conoscenza viene dal capitale umano e dalla sua capacità di produrre idee, e anche nuovi prodotti. Se si guarda alle teorie sullo sviluppo economico, si osserva che il capitale umano rappresenta una forza decisiva per le prospettive di crescita e di produttività. Questo vuol dire che ci si trova di fronte all'esigenza di investire in educazione e negli strumenti per formare anche in maniera continua coloro che lavorano nel sistema produttivo; due cose diverse, ma ugualmente importanti».

 

Quali sono le resistenze dei paesi europei agli investimenti nell'innovazione? Quale ruolo svolge l'Italia rispetto agli altri paesi europei?

«Bisogna intendersi sul significato della parola innovazione. Occorre distinguere tra innovazione incrementale, qualcosa di innovativo che si introduce nel mercato senza cambiare la natura dello strumento, e innovazioni più importanti, quelle che modificano lo strumento, come, ad esempio, il computer wireless, che incide profondamente sull'assetto del mercato. In Europa c'è molta innovazione incrementale rispetto a quella, chiamiamola, "radicale". Questa situazione ha una valenza importante rispetto alla competitività nei mercati, poiché l'innovazione radicale allarga il mercato.

«In Italia si sono avute innovazioni che hanno prodotto effetti di mercato importanti. Ad esempio, nel settore calzaturiero, "la scarpa che respira". Si tratta di innovazioni che consentono di acquisire nuove fette di mercato, ma non creano nuovi mercati. Questo fa una certa differenza. Infatti, se si deve immaginare di essere presenti su mercati non tradizionali ma nuovi, con una domanda vinta da coloro che presentano prodotti nuovi, l'Italia senza meno svolge un ruolo importante con la moda per esempio, perché nell'abbigliamento è capace di fare innovazione.

«In questo senso, l'Italia nel suo complesso e l'Europa non vanno trascurate, ma in realtà, riguardo all'apertura di nuovi mercati, producono un numero inferiore di quelle innovazioni che con le nuove tecnologie hanno creato applicazioni decisamente diverse che aprono i mercati, come Google, un sistema di classificazione che permette all'utente di Internet di trovare un sito senza conoscerne il link. Oggi Google è quotata. Nuovi prodotti e servizi sono le condizioni che muovono il mercato e che, in sostanza, lo fanno crescere».

 

Che cosa può fare l'Europa per dare una spinta a questo processo?

«L'Europa deve fare una cosa che nei servizi fa poco: produrre più concorrenza. L'Europa ha realizzato un mercato unico dei prodotti dove c'è concorrenza. Nei servizi, invece, si è veramente indietro. Credo che sia importante capire che i servizi tendono a diventare la parte prevalente dell'economia in tutto il mondo sviluppato, che ormai sono una parte non solo crescente, ma anche una parte che entra nel sistema produttivo e non solo una domanda di servizi finali. I consumatori chiedono servizi, ma anche le stesse imprese chiedono ad altre imprese dei servizi che entrano a far parte del processo produttivo. In questo senso, i servizi entrano nel costo di produzione delle imprese. I servizi efficienti contribuiscono ad abbassare i costi di produzione, anche per le imprese che producono beni e non servizi. Questo meccanismo di relazione tra mondo dei servizi e mondo dei beni è, a mio modo di vedere, un punto fondamentale che deve essere affrontato in Europa e in Italia.

 

Banda larga: una nuova frontiera tecnologica. Come sviluppare la ricerca in Europa?

«La concessione e la disponibilità delle frequenze sono i nodi fondamentali perché quanto più si svilupperà la competizione su questi aspetti e più ci sarà libertà di ingresso nel sistema, tanto più si affermeranno quelli che sapranno utilizzare al meglio questo strumento. Non c'è dubbio che la concorrenza sia importantissima, ma non bisogna pensare che sia l'unica questione da affrontare.

«Si deve anche considerare il modo di porre l'Europa in una diversa prospettiva rispetto all'investimento nel suo complesso, cioè il modo in cui l'Europa fa ricerca. Vale a dire che bisogna rendere più attraente l'Europa sul piano internazionale per i ricercatori. I migliori cervelli devono avere ragioni per venire in Europa o per rimanervi. Una delle ragioni di successo degli Stati Uniti, se non la fondamentale, è la loro grande apertura al mondo dei cervelli, l'attrazione che hanno esercitato, la loro capacità di mettere i cervelli a lavorare e poi di ricavare dalle ricerche un insieme di "buy product" che hanno consentito l'innovazione.

«La ricerca è la premessa per l'innovazione. L'Europa investe poco in grandi progetti. Non è importante soltanto la quota investita. L'obiettivo fissato a Lisbona è il 3% del Pil - come sempre, Finlandia e Svezia lo hanno raggiunto. - Il punto è se saremo capaci di investire in grandi progetti.

«Ne è un esempio Galileo, sistema di satelliti di posizionamento. Un successo per l'Europa, unico. Ce ne vorrebbero tanti di grandi dimensioni perché i grandi progetti hanno una rilevanza enorme per l'innovazione. Non è vero che tanti piccoli progetti producono gli stessi effetti. Un grande progetto ha la complessità necessaria e il grado di sofisticazione tecnologica per produrre ricadute a cascata. Da questo punto di vista, negli Stati Uniti gioca un ruolo fondamentale per la ricerca l'industria della difesa.

«Un'Europa che decidesse di avere una politica di difesa comune non farebbe una scelta irrilevante, al di là delle implicazioni di politica estera che questo avrebbe, rispetto all'entità degli investimenti pubblici di grandi dimensioni. In ogni caso, qualunque scelta si faccia, i grandi progetti sono un punto importante per avere innovazione come ricaduta di processi di investimento».

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